Dopo l’intervento di Don Michele Marcato, tocca a Don Stefano Didonè accompagnarci nel secondo dei tre incontri dedicati all’approfondimento della figura di San Paolo.
Don Stefano Didonè, Direttore dello Studio teologico interdiocesano di Treviso e Vittorio Veneto. approfondirà la figura di San Paolo secondo i filosofi.
Ricordiamo che il terzo incontro, in programma il 23 ottobre, sarà dedicato a “La storia di Paolo: il processo” con relatore Luigi Garofalo, Professore di Diritto romano e di Fondamenti del diritto europeo presso l’Università degli Studi di Padova.
La rassegna si svolge “in presenza” presso Casa dei Carraresi, nel pieno rispetto delle disposizioni di contenimento di COVID-19. E’ comunque possibile seguire le conferenze in diretta streaming collegandosi alla pagina Facebook della Fondazione Cassamarca oppure rivederle sul canale YouTube di Fondazione Cassamarca accedendo direttamente dal nostro sito: www.fondazionecassamarca.it.
L’appuntamento per ciascuna conferenza rimane invariato, alle ore 18.00.
Il progetto è sostenuto dalla società Carlo Alberto Srl.
Don Stefano Didonè
Nato a Castelfranco Veneto il 9 gennaio 1975, ha conseguito la Licenza e il Dottorato il Teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano. Alla sua tesi dottorale, dal titolo La struttura antropologica della fede. Ripensare la teologia filosofica (Glossa, Milano 2015), fanno seguito articoli, contributi in miscellanee e alcune curatele inerenti il rapporto tra filosofia, teologia e Bibbia. Dal 2009 insegna Teologia fondamentale, teodicea e teologia contemporanea presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Treviso – Vittorio Veneto, di cui è pro-direttore dal 2017. È anche docente stabile presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose «Giovanni Paolo I» e docente incaricato presso la Facoltà teologica del Triveneto.
Abstract
Ciarlatano, dissacratore, traditore. Il rapporto tra Paolo e i filosofi non è mai stato idilliaco. I filosofi antichi, come gli epicurei e gli stoici, sentendolo parlare ad Atene, finirono per deriderlo. Alla fine dell’Ottocento, Nietzsche definì l’apostolo delle genti come un “corruttore” di tutto ciò che è divino. Paolo sarebbe stato colpevole di aver ridotto il divino all’umano, di aver eliminato tutto ciò che è forte, coraggioso, imperioso, fiero, cioè i tratti più aristocratici e ieratici del divino, per adattarlo alla diffusione del più «democratico tra gli dèi». L’interpretazione nietzscheana di Paolo prosegue nel Novecento nonostante la lettura fenomenologica di Heidegger e lo sviluppo della ricerca storico critica.
Oggi alcuni filosofi propongono una lettura diversa dell’apostolo delle genti, riconoscendo nella sua produzione letteraria un richiamo ai valori universali come la libertà, la verità, la giustizia e la pace. Secondo il rabbino Jacob Taubes, Paolo è come un nuovo Mosè, guida di un popolo che non è più chiuso in difesa di sé stesso, ma un popolo messianico, fondato sull’amore del prossimo. Ed è per questo, incalza il filosofo francese Alain Badiou, che si può riconoscere in Paolo il fondatore dell’universalismo cristiano.
Ma Paolo, da parte sua, che cosa ha fatto per essere oggetto di così tante attenzioni? Tutto ebbe inizio con il suo celebre discorso all’Areopago di Atene, narrato al cap. 17,16-34 degli Atti degli Apostoli. Apparentemente sembrò un fallimento totale, ma a partire da quel momento “alcuni si unirono a lui e divennero credenti” (At 17,34). E tra di loro una donna dal nome affascinante: Dàmaris.